In taberna quando sumus

I Carmina Burana (Canti di Beuren) sono una serie di brani vocali su testi in latino e tedesco antico risalenti alla prima metà del XIII secolo e rinvenuti nel monastero benedettino di Beuren, in Baviera.

In questo manoscritto si trovano vari brani di carattere amoroso, numerosi lodi del vino e alcuni canti moralistici che prendevano in giro il gioco dei dadi, l’avarizia e la corruzione.

Inoltre, a fianco di canti propriamente liturgici, come quelli riferiti al Natale ed alla Passione di Gesù, si incontrano anche parodie della Messa e della Confessione; i Carmina burana furono infatti composti da anonimi ” clerici vaganti”, cioè da giovani che si spostavano in Europa per studiare: da qui il loro carattere sovente “goliardico” e irriverente. Di alcuni di essi ci è giunta anche la musica, una semplice linea melodica di non facile ricostruzione. 

In taberna quando sumus (Quando siamo in osteria) è uno scherzoso coro in onore del vino: la vita è bella e tutti devono bere in quanto ogni occasione è buona per brindare!

Come gli altri brani con musica della raccolta, anche questo non ci dice quali e quante voci dovevano eseguirlo né ci indica gli eventuali strumenti che quasi certamente prendevano parte all’esecuzione; da qui il compito degli esecutori di oggi di integrare queste lacune affidandosi tanto al loro gusto quanto ai loro studi sulla pratica esecutiva tipica dell’epoca.

Pertanto gli strumenti che sentirete e la distribuzione delle voci sono frutto di una personale scelta degli attuali esecutori.

Buona Musica!

L’alta bellezza

Come esempio di musica del Quattrocento vi presento un brano del compositore fiammingo Guillaume Du Fay; si tratta di una “ballata”, cioè di un brano la cui struttura si rifà a quella adottata molto tempo prima per le canzoni da ballare; ai tempi di Dufay tuttavia questo genere non era più destinato alla danza vera e propria.

Il brano si intitola L’alta bellezza, ed è una lode alla donna amata; non stupitevi che il testo sia in italiano: Dufay infatti lavorò a lungo nella nostra patria.

Testo:

L’alta bellezza tua, virtute, valore a che so donna m’hai donato amore.

Quanto più miro il tuo leggiadro aspetto angelico, real, degno d’impero,  d’amor s’infiamma più l’ardente petto.

Svilendo ogn’altro, fermo il pensiero in te sola, dea, signor mio diletto, e farti ancor contenta certo spero.

L’alta bellezza tua, virtute, valore a che so donna m’hai donato amore.

Parafrasi:

La tua grande bellezza, la tua virtù, i tuoi pregi mi hanno, o donna, fatto innamorare di te.

Quanto più contemplo il tuo grazioso aspetto angelico e regale, degno di ogni comando,  tanto più il mio ardente petto s’infiamma d’amore.

Disprezzando ogni altro pensiero, mi rivolgo a te sola, mia dea, mio grande diletto, e certo spero che tu ne sia contenta.

La tua grande bellezza, la tua virtù, i tuoi pregi mi hanno, o donna, fatto innamorare di te.

Guillaime Dufay

1400 ca. – Nasce nelle Fiandre e diviene presto fanciullo cantore a Cambrai

1420 – Sceso in Italia come tanti suoi connazionali, entra al servizio della famiglia Malatesta a Pesaro e a Rimini.

1434 – Dopo essere ritornato per qualche tempo a Cambrai ed essere quindi ridisceso in Italia con l’incarico di cantore papale a Roma, entra al servizio dei Savoia a Torino.

1440 – Si stabilisce a Cambrai, ma non per questo rinuncia a compiere ulteriori viaggio, ritornando fra l’altro pressi i Savoia.

1474 – Muore a Cambrai: nel testamento chiede che durante le esequie venga eseguito il suo inno Ave Regina Coelorum (“Salve, Regina dei Cieli”).

Di Dufay ci sono pervenute 9 messe, 32 mottetti e 87 chansons. Molti suoi lavori nacquero per celebrare avvenimenti particolari: ad esempio il mottetto latino Nuper rosarium flores (“Da poco i fiori di rosa”) fu composto per la consacrazione, nel 1446, del Duomo di S. Maria del Fiore a Firenze

Buona Musica!

La musicalità tra sacro e profano nel Medioevo

Sant’Agostino (354-430) fu uno dei più importanti Padri della Chiesa: pagano d’origine, si convertì al Cristianesimo, venne battezzato da Sant’Ambrogio nel 387 e scrisse numerosi e importanti lavori in latino in cui difese la nuova religione; celebri fra l’altro sono le Confessioni, in cui narra la sua vita e la sua conversione. Nel passo che riportiamo Sant’Agostino parla del “giubilo”, cioè del canto gregoriano “melismatico”, ove la voce, così come avveniva negli Alleluja, si effondeva in lunghi vocalizzi di giubilo, cioè di gioia.

Ciascuno si domanda come cantare a Dio. Devi cantare a Lui, ma, non in modo stonato. Non vuole che siano offese le Sue orecchie. Cantate con arte, fratelli. Quando davanti ad un buon intenditore di musica, ti si dice, canta in modo da piacergli, tu privo di preparazione musicale, vieni preso dall’emozione nel cantare perché non vorresti dispiacere al musicista, infatti quello che sfugge al profano, viene notato e criticato da un intenditore di musica. Orbene, chi oserebbe presentarsi a cantare con arte a Dio, che sa ben giudicare il cantore, che esamina con certezza ogni cosa e che tutto ascolta così bene? Come potresti mostrare un’abilità così perfetta nel canto da non offendere in nulla orecchie così perfette?

Ecco Egli ti dà quasi il tono della melodia da cantare: non andare in cerca della parole (…), canta nel giubilo. Che cosa significa cantare nel giubilo? Comprendere e non saper spiegare a parole ciò che si canta col cuore. Coloro infatti che cantano sia durante la mietitura sia durante la vendemmia sia durante qualche lavoro faticoso, prima avvertono il piacere suscitato dalle parole dei canti, ma in seguito, quando l’emozione cresce, sentono che non possono più esprimerla in parole e allora si sfogano in una semplice successione di note. Questo canto lo chiamiamo “giubilo”.

Il giubilo è quella melodia con la quale il cuore effonde quanto non riesce ad esprimere con parole. E verso chi è più giusto elevare questo canto di giubilo, se non verso l’ineffabile? Dio? Infatti è ineffabile colui che tu non puoi esprimere. E se non lo puoi esprimere, e dall’altra parte non puoi tacerlo, che cosa ti rimane se non giubilare? Allora il cuore si aprirà alla gioia senza servirsi di parole e la grandezza straordinaria della gioia non conoscerà i limiti della sillabe.

Molte composizioni, nonché vari scritto trasmessici dai Trovatori e dai Trovieri, ci forniscono interessanti notizie sia sulla loro attività sia sugli svaghi più caratteristici nella vita di corte del Duecento. Ad esempio una composizione (della quale possediamo anche la musica) creata dal troviere Colin Muset, vissuto nella prima metà del XIII secolo, ci fa capire che la vita e le risorse economiche di questi poeti-musicisti erano strettamente subordinate alla generosità degli aristocratici presso i quali vivevano.

Signor Conte, ho suonato la viella davanti a voi, nel vostro palazzo, e non mi avete regalato nulla, né pagato salario: è villania! Per la fede che devo a Santa Maria, così non potrò stare al vostro seguito: la mia scarsella è poco fornita e la mia borsa poco piena.

Signor conte, suvvia comandate quel che volete di me. Signore, se v’aggrada, suvvia, donatemi un dono, per cortesia! Che ho desiderio, non dubitate, di tornare dai miei: quando faccio ritorno a borsa vuota mia moglie non mi sorride!

Anzi mi dice: “Signor Babbeo, in che paese siete stato , che non avete guadagnato nulla? Troppo siete andato a spasso giù per la città. Guardate com’è floscio il vostro zaino: è pieno soltanto di vento. Sia vituperato chi ha voglia di stare in vostra compagnia!”

Ma quando torno a casa e mia moglie ha adocchiato sulle mie spalle gonfia la bisaccia e ch’io son ben vestito d’un abito foderato, sappiate ch’ella subito ha deposto giù la conocchia senza far commedie e mi sorride schiettamente e mi getta le braccia al collo.

Mia moglie corre a sciogliere il mio zaino senza indugio; la mia serva corre ad ammazzare due capponi per cucinarli in salsa d’aglio; mia figlia mi porta un pettine con le sue mani, cortesemente. Allora sono padrone a casa mia più che nessuno potrebbe narrare.

E così dai Consigli ai giullari del Trovatore provenzale Guiraut de Calanson, vissuto anch’egli agli inizi del Duecento, veniamo a sapere quali dovevano essere i principali compiti dei menestrelli di corte: per farsi bene apprezzare costoro non solo dovevano essere in grado di suonare i più disparati strumenti, ma dovevano avere doti di giocolieri e di ammaestratore di animali!

Sappi percuotere il tamburo e i cimbali (coppia di piattini metallici da percuotersi uno contro l’altro), e far risuonare la sinfonia (strumento a corde, simile alla ghironda, in grado di produrre più suoni contemporaneamente). Sappi lanciare in aria e tenere sul coltello piccoli pomi; imitare il canto degli uccelli; fare giochi coi corbelli (far giochi di prestigio), far saltare scimmie attraverso quattro cerchi; suonar la citòla (strumento a pizzico dalla cassa piriforme costituito da una sola corda) e la mandòla (strumento ad arco costituito da una sola corda); toccar il manicordo (strumento ad arco costituito da una sola corda) e la chitarra; guarnir la rota (strumento simile alla lira, ma suonato con l’arco) con 17 corde; suonar l’arpa, accordare bene la giga (strumento ad arco con 3 o 4 corde e con cassa ricurva) per rallegrare l’aria del salterio. Giullare, tu farai preparare nove strumenti a 10 corde. Se tu impari a suonarli bene, forniranno tutti i tuoi bisogni. Fa’ anche risuonare le lire e tintinnare i sonagli.

Buona Musica!

Il Diapason

Prima di essere suonati gli strumenti devono essere accordati, cioè devono essere regolati in modo da produrre suoni che abbiano altezze esattamente uguali, che utilizzino tutti la stessa, precisa frequenza. Ciò è indispensabile quando più strumenti si trovano a suonare assieme: se essi non venissero precedentemente accordati, il brano risulterebbe stonato e confuso. Per evitare ciò occorre prendere in considerazione un suono base che sia uguale per tutti e quindi, partendo da quello, si deve procedere calcolando le frequenze di tutti gli altri.

Questo suono base ha il nome di Diàpason: in un Congresso Internazionale tenutosi a Londra nel 1939 questo suono è stato fatto corrispondere alla nota La, fissata all’altezza di 440 Hz, che sul rigo compare in questa posizione.

A tale frequenza devono uniformarsi tutti gli strumenti e le orchestre del mondo in modo che non ci siano diversità di esecuzioni di uno stesso brano da nazione a nazione.

Per determinare questa altezza di 440 Hz si utilizza in genere un semplice apparecchio acustico, chiamato anch’esso Diàpason: esso consiste in una forcella d’acciaio a forma di costruita in modo da produrre, percuotendo uno dei suoi due rebbi, il suono base di 440 Hz; talvolta questa forcella viene posta sopra una semplice cassa di risonanza, cioè una scatola di legno in grado di amplificare un po’ il suono.

Questo tipo di diàpason, detto comunemente “a percussione”, è il modello più antico e più comune; ne esistono tuttavia altri tipi: uno detto corista, è simile ad un semplice fischietto; altri generano il La di 440 Hz per via elettrica. Se poi voleste accordare il vostro strumento e siete del tutto sprovvisti di diàpason, non dovete fare altro che alzare la cornetta del telefono: il Tuut… è un La di 440 Hz!

Buona Musica!

Gli Strumenti Musicali

Numerosi sono gli strumenti che l’uomo, nel corso del tempo, ha usato per “fare musica”: dai reperti d’osso scoperti in caverne abitate nella preistoria sino alle apparecchiature tecnologicamente sofisticate di oggi, tutto ci dimostra che ogni civiltà, sia del passato sia del presente, come si è “costruita” il suo alfabeto, il suo linguaggio, le sue usanze, così si è costruita anche i suoi strumenti musicali.

La scienza che studia gli strumenti musicali, e tutto ciò che è inerente ad essi, si chiama Organologia (dal greco antico Organon: “strumento”, “arnese”): in base ad essa gli strumenti vengono suddivisi a seconda del mezzo con cui producono il suono. Possiamo così individuare quattro famiglie (o categorie) principali:

CORDOFONI: Strumenti che producono il suono tramite corde tese.

AEROFONI: Strumenti che producono il suono per mezzo dell’aria (quindi anche del nostro fiato).

PERCUSSIONI: Strumenti che producono il suono tramite la percussione di vari materiali (pelle, plastica, legno, metallo).

ELETTROFONI: Strumenti che producono il suono per via elettrica.

All’interno di queste famiglie occorre distinguere ulteriormente gli strumenti in base alla loro particolarità:

Al modo in cui producono i loro suoni.

Basta pensare a tre cordofoni molto conosciuti come il violino, la chitarra e il pianoforte per comprendere come, pur facendo parte della stessa famiglia, le loro corde vengano sollecitate in modo diverso: sfregandole (il violino), pizzicandole (la chitarra), percuotendole (il pianoforte).

E così i fiati si differenziano a seconda del tipo d’imboccatura attraverso la quale passa l’aria: al materiale di cui sono fatti. I fiati ad esempio possono essere di vari tipi di legno o di metallo; alla natura dell’effetto acustico che producono, cioè a seconda che questo sia un vero e proprio suono oppure un semplice rumore.

In genere i cordofoni e gli aerofoni possono produrre solo suoni, le percussioni e gli elettrofoni invece sia suoni che rumori.


Abbiamo allora la necessità di distinguere, all’interno delle suddette quattro categorie, varie sottocategorie:

CORDOFONI: a corde strofinate, a corde pizzicate, a corde percosse.

AEROFONI: legni, ottoni, a serbatoio d’aria.

PERCUSSIONI: a suono determinato, a suono indeterminato.

ELETTROFONI: elettrici, elettronici

Teniamo infine presente che tutti gli strumenti in grado di produrre suono possono venire distinti in due gruppi:

Polifonici, quando sono in grado di produrre contemporaneamente più suoni: è il caso dei cordofoni, degli aerofoni a serbatoio d’aria, della percussioni a suono determinato e degli elettrofoni.

Monofònici, quando producono un solo suono alla volta: è il caso dei legni e degli ottoni.

Buona Musica!

Musica e Mito nelle civiltà antiche

Vi propongo la lettura di tre brani che parlano della musica e degli strumenti musicali presso popoli di civiltà e di epoche diverse.

La Finlandia possiede un suo antico poema mitologico, il Kàlevala, che nel secolo scorso, per opera di un abile studioso, Elias Lönnrot, venne pazientemente raccolto e trascritto dalle bocche di vari cantori dei villaggi che, di generazione in generazione, si tramandano oralmente quei versi cantati.

Il protagonista è Väinämöinen, un vecchio saggio simbolo della forza dello spirito umano, che ha ideato e costruito il kàntele, una specie di cetra dal suono dolcissimo ancora oggi in uso in Finlandia; con la musica del suo strumento egli riesce a richiamare ed incantare tutti gli essere viventi, e questo ci dimostra che alla musica venivano attribuiti poteri soprannaturali.

La partenza di Väinämöisen, di Akseli Gallen-Kallela, 1896-1906

Il vecchio, intrepido Väinämöinen, l’etero cantore preparò le sue dita, lavò e purificò i suoi pollici; poi si sedette sulla pietra della gioia, sulla roccia del canto, in cima alla collina d’argento, alla collina d’oro. E prese lo strumento fra le dita, appoggiò la sonora casa alle ginocchia, pose il kàntele sotto le dita e, alzando la voce, disse:

"Vengano adesso coloro che vogliono udire la gioia dei canti eterni, i melodiosi accordi del kàntele, vengano coloro che non li hanno ancora sentiti! Ed il vecchio Väinämöinen incominciò a suonare stupendamente (...) e la gioia splendeva veramente dentro la gioia, la letizia infiammava la letizia (...). E mentre il vecchio pizzicava il kàntele non vi fu alcuno nel bosco, neppure un animale dalle quattro zampe, dagli zoccoli pelosi, che non accorresse ad ascoltare lo strumento, ad ammirare i suoni della gioia. Gli scoiattoli saltano di ramo in ramo, gli ermellini s'arrampicano sui pali degli steccati, gli altri galoppano attraverso le pianure, le linci trasaliscono di gioia. Ed anche il lupo si muove nelle paludi, si sveglia l'orso nella macchia, in fondo alla sua tana nascosta fra i cespugli (...). Tutto ciò che era uccello dell'aria, tutto ciò che volava su due ali scese dal cielo come tempesta di neve e si precipitò verso il cantore per ascoltare il magnifico suono, per ammirare i canti della gioia. L'aquila udì dall'altro delle sue nubi i bei canti del vecchio, lascio nel nido i suoi piccini e venne in gran fretta (...), scendeva dalle sublimi altezze e così lo sparviero si slanciò dal grembo del cielo, le anitre dalle onde profonde, i cigni dai laghi pantanosi, i piccoli fringuelli e tutti gli uccelli cinguettanti (...). Non vi fu un essere sulla terra, non un essere in fondo alle acque, non un pesce dalle sei pinne che non accorresse a sentire i suoni del kàntele, i canti della gioia."

Quello che segue è un esempio di canto funebre dell’Antico Egitto; conosciuto come Il canto dell’arpista, venne composto in onore del capomastro Nefer-hetep;

La musica significa vita e quindi ci è indispensabile nella nostra esistenza, mentre l’aldilà è il regno della pace e del silenzio.

"Vi siano musica e 
canto dinanzi a te, getta alle spalle tutte le pene e volti l'animo alla gioia, fino a quando verrà quel giorno in cui noi viaggeremo verso quella terra che ama il silenzio..."

Infine, facendo ora un salto nella Grecia Antica, leggiamo una parte del primo di due Inni di chiaro argomento musicale che vennero ritrovati a Delfi.
L’Inno, rivolto alle nove Muse, che sono le protettrici delle arti e figlie di Giove nonché sorelle di Apollo, abitano su vari monti, come l’Elicona ed il Parnàso.
Presso quest’ultimo si trova la sorgente Castàlia, a loro sacra.

La musica di questo brano, giunta quasi totalmente sino a noi, è stata trascritta ed anche incisa su dischi: essa ha un grande fascino, poiché è in grado di ricreare l’atmosfera sacra che doveva animare i riti di Delfi.

"O voi, figlie dalle belle braccia di Zeus tuonante, voi che avete ricevuto l'Elicona selvoso, venite ad esaltare con i canti il fratello Febo dalla bella chioma, egli che sul doppio vertice di questa cima del Parnàso avanza assieme alle nobili abitatrici di Delgi verso le limpide acque della fonte Castàlia spingendosi lungo il promontorio di Delfi sino al colle fatidico (...).
Sui sacri altari il dio del fuoco Efesto sacrifica cosce di giovani tori e misto alle fiamme un profumo d'Arabia s'innalza verso l'Olimpo. L'aulo acuto intona la melodia con arie variate e la cetra dorata risuona con dolce voce per intonare inni. Tutti i musici che abitano in Grecia, presso questo monto dalle cime nevose, sulle cetre celebrano per te, glorioso figlio di Zeus, te che annunci a tutti i mortali profezie divine e veritiere..."

Buona Musica!

Tipi di strumenti nelle civiltà antiche.

Sono soprattutto gli Arabi ad avere trasmesso alla nostra civiltà gli strumenti più significativi: ad esempio lo ‘Ud (=legno), che ha dato origine al nostro liuto, la Ribeca (lo strumento ad arco usato dai Trovatori) e la Chitarra.

Un tipo di quest’ultima avrebbe appunto preso il nome di “Guitarra morisca” proprio perché importata dai “Mori”, cioè dall’Islam. Anche altre civiltà avrebbero contribuito a fornire esempi di strumenti che, pur con qualche trasformazione, sarebbero stati usati nella nostra civiltà:

La civiltà egizia ad esempio già utilizzava vari tipi di arpa e di trombe (ricordiamo al proposito il caso di Giuseppe Verdi, che per la sua opera lirica Aida, ambientata nell’Egitto antico, fece appositamente costruire particolari trombe simili a quella antiche egizie).

Anche il nostro organo poi era già diffuso presso quella civiltà; infatti sarebbe stato “inventato” da un certo Ctesibio, vissuto ad Alessandria d’Egitto nel III sec. a. C., si trattava di un organo idraulico, che funzionava grazie a pompe azionate dall’acqua; di tale strumento, presto diffusosi anche nella civiltà romana, sono giunti fino a noi alcuni resti, conservati nella colonia di Acquincum (l’odierna Budapest) ed a Pompei;

La civiltà greca usò strumenti a pizzico come la Lira la Khitara e la Forminx, e strumenti a fiato come l’Aulos, una specie di flauto diritto, talvolta anche doppio (diaulos);

La civiltà ebraica dal canto suo usò strumenti a pizzico come il Kinnor ed il Nebel, abbastanza simili alla nostra cetra;

Quella romana utilizzava prevalentemente strumenti a fiato di bronzo e di impiego militare come il Cornus, la Tuba e il Lituus o altri come la Tibia, affine all’Aulos greco.

Buona Musica!

La musica nelle civiltà antiche

La musica ha origini antichissime e ne troviamo traccia nelle più remote civiltà e religioni.

Lo possiamo accertare leggendo i racconti mitologici, i testi poetici, i documenti storici di quelle culture, o anche esaminando i bassorilievi, le pitture, gli affreschi, le statue che hanno riferimento al mondo della musica; grazie a queste raffigurazioni possiamo capire, ad esempio, come erano fatti e suonati alcuni strumenti, in quali circostanze (feste, parate militari, riti sacri) si esibivano cantori, danzatori, suonatori.

E’ da queste antiche civiltà, in particolare da quelle fiorite attorno al bacino del Mediterraneo o nelle più immediate vicinanze, che è nata la nostra; per cui anche la musica di cui noi ci serviamo trova le sue radici più profonde proprio in questi popoli vissuti tanti secoli fa.

Queste civiltà sono:

  • La Mesopotamica (sviluppatasi nella regione mediorientale, compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate, dove vissero i Sumeri, i Babilonesi, gli Assiri, i Caldei, ecc.)
  • L’Egiziana
  • L’Ebraica
  • La Greca
  • La Romana
  • L’Araba

Tutte queste civiltà hanno lasciato, in maggiore o minore misura, testimonianze che hanno influenzato la nostra: nell’uso della musica, nei generi e nelle forme impiegate, nel tipo di strumenti, nella teoria.

Buona Musica!