Il Diapason

Prima di essere suonati gli strumenti devono essere accordati, cioè devono essere regolati in modo da produrre suoni che abbiano altezze esattamente uguali, che utilizzino tutti la stessa, precisa frequenza. Ciò è indispensabile quando più strumenti si trovano a suonare assieme: se essi non venissero precedentemente accordati, il brano risulterebbe stonato e confuso. Per evitare ciò occorre prendere in considerazione un suono base che sia uguale per tutti e quindi, partendo da quello, si deve procedere calcolando le frequenze di tutti gli altri.

Questo suono base ha il nome di Diàpason: in un Congresso Internazionale tenutosi a Londra nel 1939 questo suono è stato fatto corrispondere alla nota La, fissata all’altezza di 440 Hz, che sul rigo compare in questa posizione.

A tale frequenza devono uniformarsi tutti gli strumenti e le orchestre del mondo in modo che non ci siano diversità di esecuzioni di uno stesso brano da nazione a nazione.

Per determinare questa altezza di 440 Hz si utilizza in genere un semplice apparecchio acustico, chiamato anch’esso Diàpason: esso consiste in una forcella d’acciaio a forma di costruita in modo da produrre, percuotendo uno dei suoi due rebbi, il suono base di 440 Hz; talvolta questa forcella viene posta sopra una semplice cassa di risonanza, cioè una scatola di legno in grado di amplificare un po’ il suono.

Questo tipo di diàpason, detto comunemente “a percussione”, è il modello più antico e più comune; ne esistono tuttavia altri tipi: uno detto corista, è simile ad un semplice fischietto; altri generano il La di 440 Hz per via elettrica. Se poi voleste accordare il vostro strumento e siete del tutto sprovvisti di diàpason, non dovete fare altro che alzare la cornetta del telefono: il Tuut… è un La di 440 Hz!

Buona Musica!

La Scala Temperata

La nostra civiltà musicale si basa prevalentemente su una scala detta temperata, nella quale le frequenze dei vari suoni, cioè gli Hz, sono stabilite in base ad un preciso valore matematico ottenuto seguendo un complesso calcolo: tale valore è la “costante” 1,0595.
Moltiplicando una data frequenza per questo valore si ottiene direttamente il suono più acuto di un semitono: se ad esempio scegliamo il La di 440 Hz, moltiplicando 440 per 1,0595 si ottiene la frequenza del suono che noi chiamiamo La # o Si b.


Proseguendo, cioè moltiplicando questo valore di nuovo per 1,0595, otteniamo la frequenza del Si naturale, e così via.

Ecco pertanto, a titolo di esempio, le frequenze dei 12 suoni diversi calcolati all’interno dell’ottava compresa fra il La di 440 Hz e quello immediatamente più acuto (di 880 Hz), cioè con le vibrazioni raddoppiate.

Buona Musica!

Teoria nella musica delle civiltà antiche

Le basi della Teoria Musicale studiata ed applicata nel nostro Medioevo ha le sue origini dalla musica dell’Antica Grecia. In quella civiltà infatti venivano utilizzate varie successioni di Tetracordi, cioè di quattro suoni separati da intervalli di tono e di semitono.

“Agganciando” due tetracordi successivi si dava luogo a tre tipi fondamentali di scala:

DoricaFrigiaLidia

Scale che con varie modifiche, sarebbero state riprese dai nostri teorici del Medioevo.

L’attuale nome delle note si deve al più grande teorico del Medioevo Guido d’Arezzo (995-1050) il quale, oltre il suo Tetragramma (un rigo musicale formato da quattro linee e tre spazi), per dare il nome alle note si servi delle prime sillabe di sei versetti (emistichi) di un conosciutissimo inno di quei tempi in onore di San Giovanni:


Questo inno, come si può vedere dalla musica, presentava poi una particolare caratteristica: la nota corrispondente alla prima sillaba di ogni verso saliva di un grado così da formare una scala di sei note chiamata Esacordo.

Era nata la Scala Moderna, allora di sei note (Ut, Re, Mi, Fa, Sol, La): era il principio base per lo sviluppo della futura Scala Musicale.

Nel 1500, con il sommo teorico musicale Gioseffo Zarlino, si fissa il nostro attuale pentagramma (5 righe e quattro spazi), s’incomincia a suddividere la musica in misure o battute mediante le stanghette verticali, si aggiunge la settima nota Si, che risulterà dalla fusione delle iniziali Sancte Joannes.

Nel corso della metà del 1600 la nota Ut sarà modificata in Do.
Il nome attuale deriva probabilmente dalla prima sillaba di Dominus (“Signore” in senso cristiano), ed è stato introdotto perché, uscendo in vocale, si pronuncia in modo più fluido nel solfeggio, mentre la “t” finale di ut può essere causa di fastidi nella pronuncia.

Il nome è stato attribuito a Giovanni Battista Doni, il quale nel XVII° secolo avrebbe sostituito “Ut” con la prima sillaba del proprio cognome; in realtà l’uso della sillaba “Do” è attestato già nel 1536 (molto prima della nascita di Doni) in un testo di Pietro Aretino.

Buona Musica!